OBIETTIVO ZERO EMISSIONI: IL RICICLO DEI POLIMERI

Pubblicato il: 11/02/2021

OBIETTIVO ZERO EMISSIONI: IL RICICLO DEI POLIMERI

Come indicato nella prima parte di questa analisi, l’obiettivo finale europeo è quello di arrivare a zero emissioni entro il 2050.
Il focus principale dell’industria europea per i prossimi trent’anni sarà dunque quello di ridurre l’impatto ambientale delle proprie attività.

Nello specifico, essa dovrà eliminare o compensare – ove possibile – le proprie emissioni di gas serra (partendo dalla più nota, CO2) per permettere al Continente Europeo di raggiungere un equilibrio tra quanto viene immesso nell’ambiente dai sistemi produttivi e quanto l’ambiente è fisiologicamente in grado di assorbire.

Ciò viene definito come “neutralità climatica” (carbon neutrality).

Ogni azienda dovrà quindi riconoscere dove si colloca il proprio processo o prodotto rispetto all’obiettivo prefissato dalla Commissione Europea.

Per questo primo passo, esiste uno strumento chiamato LCA (Life Cycle Assessment) il quale permette di analizzare il ciclo di vita (dalla culla alla tomba, n.d.r) dei prodotti.

Lo strumento (o metodo analitico), permette di accrescere la consapevolezza riguardo alle principali variabili che contribuiscono alla produzione di CO2e complessiva durante la realizzazione dei propri manufatti.
In altre parole, questo tool permette di conoscere e, in futuro dichiarare, la quantità di CO2e che ogni manufatto eredita dal processo di produzione che lo genera.
Il calcolo LCA si basa su elementi oggettivi, quantificabili, in grado di rendere visibili le aree nelle quali intervenire per migliorare progressivamente il proprio impatto ambientale1.

Secondo gli obiettivi indicati dall’UE, le strategie aziendali dovranno includere, per esempio, la costante ricerca della migliore soluzione per ridurre la dipendenza dall’energia fossile.

Questo primo passaggio è molto importante, poiché permette di ridurre immediatamente il “peso” del proprio sistema produttivo tradizionale, pur mantenendo la qualità consolidata sia del sistema produttivo, che dei prodotti realizzati.

Evidenze di questa transizione verso tale approccio virtuoso sono già visibili nel settore delle produzioni agricole e zootecniche.
Inoltre, riteniamo sia altrettanto importante che la comunicazione aziendale e il marketing del prodotto assimilino e comunichino al cliente il contenuto di CO2e in quanto valore aggiunto di ogni particolare stampato.
Questo passaggio agevolerà l’utilizzatore finale (il cliente) il quale, a sua volta, potrà calcolare e riportare nella propria scheda tecnica e/o sull’etichetta commerciale del prodotto il valore di CO2e complessivo2.

Diventa facile immaginare che la stessa informazione dovrà presto essere reperibile anche nelle schede tecniche delle materie prime, in particolare di quelle termoplastiche.

Restando nel nostro settore, ovvero quello delle materie plastiche, è ormai noto come queste siano meno impattanti in termini di CO2e/ton rispetto ai materiali tradizionali, quali i metalli, il vetro o il cemento; ciò che forse è meno noto è che quando vengono riciclate lo sono anche meno.

Ogni materiale plastico che abbia terminato il suo ciclo di vita, viene considerato pari a zero in termini di contenuto di CO2. Quando un materiale viene riciclato, porta in dote solo il carico di CO2e derivante dalla post-lavorazione. In genere, tale carico equivale a circa un quarto (per alcuni tipi anche meno) di quello della stessa materia prima vergine.  [fonte: shrinkthatfootprint.com]

Grazie all’impiego di materie prime riciclate, è possibile contribuire in due modi ad anticipare i tempi di raggiungimento degli obiettivi europei 2050: 1) minore necessità di materie prime vergini; 2) minore costo energetico per renderle disponibili.

Quando consideriamo i materiali riciclati, la domanda più frequente è: ok, tutto bene, produciamo meno CO2e, ma le prestazioni tecniche dei miei manufatti dove vanno a finire?

La ricerca del migliore compromesso tecnico-ambientale è, e sarà sicuramente, una sfida per progettisti e designer.
Volendo scegliere un materiale in sintonia con i nuovi obiettivi ecologici, desiderando altresì avere certezze riguardo alle prestazioni tecniche nel tempo, sarà molto importante conoscere la “vita utile” richiesta al proprio manufatto e/o prodotto finito, senza dimenticare di immaginare quale potrebbe essere anche il suo percorso di recupero/riciclo più probabile. 

Avendo sempre come obiettivo quello di ridurre le emissioni, vediamo dunque quali soluzioni, alternative alle plastiche vergini abbiamo a disposizione.

Nell’ordine:

  1. Plastiche (fossili) parzialmente o totalmente riciclate meccanicamente,
  2. Plastiche (fossili) ottenute da monomeri ripolimerizzati,
  3. Plastiche vergini ottenute parzialmente, o totalmente, da monomeri biobased non biodegradabili.

E le plastiche bio?

Le plastiche vergini ottenute da monomeri biobased degradabili e compostabili, sono molto interessanti per il loro minore impatto ambientale e per questo le tratteremo più avanti quando parleremo di segmenti applicativi. Conoscere il ciclo di vita del proprio prodotto sarà importante quando la scelta, per ragioni di mercato, o per necessità applicative, cadrà su questi materiali.

Come già sostenuto in documenti precedenti, il mondo dei biopolimeri è in costante evoluzione e punta a compensare le numerose carenze tecniche, tuttora presenti, che ne limitano l’impiego.

 

Il peso della plastica nei diversi settori industriali – Le fonti

Prima di addentrarci nel mondo del riciclo e delle sue variabili, crediamo sia utile volgere lo sguardo verso le potenziali fonti di approvvigionamento delle materie prime riciclate.

Quali sono i settori che consumano le maggiori quantità di polimeri che, ragionevolmente, torneranno ad essere disponibili sul mercato?

Produzione plastiche per settore 2015

Nel grafico qui riportato, benché non sia recentissimo (2015), si può intuire a colpo d’occhio quali sono i settori industriali più “plastivori”.
In questo momento, ogni settore industriale tra quelli elencati nel grafico sta affrontando, in maniera e con velocità diversa, la transizione verso l’economia circolare.
Riteniamo che il grafico possa essere un ottimo indicatore utile ai fini di una percezione complessiva, nonché per gli obiettivi di questo documento.

Tra tutti settori industriali presenti nel grafico, in cui le materie plastiche sono protagoniste indiscusse, quello degli imballaggi è certamente il più importante.
Sicuramente è anche quello con le maggiori responsabilità nei confronti dell’ambiente.
Guardando i volumi dei polimeri termoplastici consumati ogni anno e conoscendo la pervasività delle applicazioni nella nostra vita quotidiana, non è quindi un caso che esso sia il segmento con il maggior numero di iniziative sul tema della sostenibilità e del recupero/riciclo.

Alcuni metodi per il riciclo delle plastiche

Riprendendo quanto sopra indicato, i materiali riciclati hanno un ruolo importante nel contesto dell’economia circolare per la salvaguardia dell’ambiente che, ricordiamo, punta alla riduzione, al riutilizzo, al riciclo e al recupero.

Per quanto concerne il tema del riciclo, restando volutamente all’esterno di aspetti sicuramente importanti, ma specifici, come ad esempio il recupero dell’energia, il riutilizzo intelligente dei manufatti, il design per la riduzione del peso dei particolari, le soluzioni che favoriscono la separazione fisica dei materiali presenti in un’applicazione (temi di cui probabilmente parleremo in futuro), possiamo dire che tutto parte dalle buone pratiche dei cittadini, ovvero dalla consapevole e corretta raccolta differenziata!

Successivamente, a valle del processo di raccolta, c’è sicuramente la necessità di disporre di ottimi impianti per la selezione/separazione degli scarti e di buone capacità e competenze nella rigenerazione/ripristino delle proprietà dei materiali trattati, l’arduo compito delle aziende impegnate in questo importante lavoro/servizio.

Sul versante tecnologico, va sicuramente segnalato che i macchinari necessari per lo svolgimento di ogni singolo compito previsto dalla filiera della rigenerazione stanno evolvendo molto rapidamente.
Negli ultimi anni sono stati progettati impianti di altissimo livello per quantità di produzione oraria, qualità finale del prodotto trattato, minore consumo energetico, controllabilità del processo e affidabilità dell’impianto.
Sistemi complessi per rendere il lavoro del riciclatore sempre più semplice, preciso, economico e affidabile.

Il riciclo meccanico

È il sistema più noto e maggiormente utilizzato negli impianti di recupero delle materie plastiche.
La macinazione dello scarto plastico produce delle scaglie di pezzatura variabile (dipende dalle griglie dei mulini).
Le stesse possono essere ulteriormente trattate (es. separazione gravimetrica, per colore ecc…) prima di essere inviate ad un impianto di estrusione3.
La complessità del processo dipende dalla qualità e forma del prodotto in ingresso.
Questa varia a seconda che i materiali provengano dal recupero di scarti industriali, i quali molto spesso arrivano all’impianto già macinati, oppure da scarti da post consumo, che invece sono composti da manufatti ancora integri.

I materiali provenienti da scarti industriali (manufatti o fondi di magazzino), sono generalmente meno problematici e più graditi rispetto a quelli da post consumo, sempre che l’azienda che li ha resi disponibili abbia tenuto un approccio virtuoso nella fase di separazione e stoccaggio (premiante, in particolare, nel caso dei tecnopolimeri), dividendo cioè gli scarti per tipologia di materia prima, colori e contenuti (es. fibre di vetro, cariche minerali, sistemi antifiamma, ecc..).

Buona parte di questi scarti finisco nelle mani di esperti compoundatori, i quali riescono a ripristinare gran parte delle proprietà termiche, meccaniche ed estetiche, originali, rendendoli prodotti in grado di soddisfare le necessità finali attese dal mercato/cliente target4.

Tuttavia, va sottolineato che il riciclo di materiali trasparenti (es. PC, PS, PMMA) è leggermente più complesso.
Spesso i prodotti trasparenti, quando riciclati, presentano delle sfumature di colore (in genere grigie o gialle) più marcate rispetto al prodotto originale vergine.

I materiali da post consumo, in particolare gli imballi primari e secondari, giungono agli impianti in balle eterogenee, ma già suddivise in materiali trasparenti e materiali opachi.

La rigenerazione di questi materiali impone, innanzitutto, una buona capacità di selezione a monte che riduca il più possibile le contaminazioni derivanti da polimeri di natura diversa (es. il PET dal PP o dal PVC), senza parlare delle altre sostanze chimiche contaminanti, come ad esempio i liquidi contenuti nei flaconi o i trattamenti superficiali.

Il processo di separazione e pulizia di questi materiali risulta quindi più critico.
Le variabili sono maggiori e possono incidere moltissimo sulla qualità e sul costo finale del materiale.
Con i materiali da post consumo, quali PET, HDPE, LDPE, PP e HIPS, anche gli impianti di estrusione possono giocare un ruolo attivo nell’eliminazione dei residui (odore, altre sostanze volatili)5 che potrebbero inficiare la qualità del prodotto finale, riducendone le opportunità applicative.

Indipendentemente dall’origine degli scarti (industriali o post consumo), si giunge sempre alla fase di estrusione, un passaggio che consente di ottenere granuli o semilavorati.
I granuli possono avere la forma di cilindretti o di lenticchie, a seconda dell’impianto di produzione e, in quelle forme, essere pronti per venire reimmessi nel processo di trasformazione più adatto alla loro reologia (fluidità/viscosità).

Tra i più comuni citiamo: lo stampaggio a iniezione, il soffiaggio e l’estrusione. In alternativa, grazie ad impianti ad hoc di “estrusione rigenerativa”, i materiali da post consumo possono passare direttamente da scaglie a semilavorati (film o lastre) saltando la fase di granulazione.

Il riciclo chimico

Questo processo viene definito anche “depolimerizzazione”.

È un processo complesso che, in linea generale, scompone i materiali di scarto in sostanze di base (monomeri) e che, successivamente e mediante processi ad hoc, li riporta nella condizione originale. Attualmente, tale tecnica è considerata l’unica strada percorribile nel caso di materiali eterogenei difficili da separare (es. gli accoppiati), quindi non recuperabili efficientemente per mezzo di una semplice macinazione meccanica.

Dal punto di vista prestazionale, i polimeri ottenuti con questo processo sono tendenzialmente simili ai prodotti vergini originali, quindi in sintonia con le linee guida dell’economia circolare (riduzione del consumo di materie prime vergini, riduzione degli scarti dispersi nell’ambiente).
La ricerca per ottimizzare questo processo di recupero è in corso da diversi anni, in particolare sul PET da bottiglie e filati, ma anche sul PE (HDPE e LDPE) e sul PP per via della loro ampia presenza nel settore dell’imballaggio (film, flaconi e contenitori).

Tuttavia, tale processo non è semplice, poiché entrano in gioco diversi fattori il cui bilanciamento non è facilmente controllabile: solventi chimici, temperature, pressioni, stabilità dei gruppi chimici (ossidazione), tempi piuttosto lunghi per di ricostruzione della catena polimerica.

Non sempre il risultato porta ad un materiale completamente pulito e riutilizzabile nel processo originale.

Non è un caso se questa tecnologia è molto utilizzata per ottenere sottoprodotti utili ad altri settori (oli, modificanti, additivi).

Un prodotto sul quale la ricerca ha davvero lavorato moltissimo è il PET, in quanto sono state testate numerose soluzioni per la scomposizione del polimero in elementi semplici (Glicole e acido Terefetalico).

Grazie a questa ampia ricerca, di recente sono apparsi anche i primi impianti di estrusione in grado di depolimerizzare e ripolimerizzare il materiale direttamente in macchina.

Questa tecnologia è interessante e prenderà certamente piede facendo fare un gran bel passo avanti nel recupero e riciclo di questo materiale.
In generale, su questa tecnologia di recupero restano ancora delle ombre relativamente al reale vantaggio ambientale in termini di CO2e/ton. Quello chimico è un processo che tendenzialmente richiede parecchia energia. Ad ogni modo, va preso atto che tutte le grandi aziende produttrici di polimeri sono ormai da tempo impegnate su questo fronte e siamo quindi certi che nel tempo tutte le difficoltà verranno risolte.

Restando in tema di riduzione delle emissioni, un capitolo a sé lo giocano i polimeri 100% Biobased non degradabili o compostabili come, ad esempio, il bioPE e in futuro il bioPP.

Questi materiali ottenuti da biomasse o da altre fonti rinnovabili, non sono diversi dai loro fratelli fossili se non per il fatto estremamente positivo di avere a bordo un forte credito di CO2e.

Sono materiali recenti che possono entrare tranquillamente nel ciclo produttivo standard, senza richiedere alcuna variazione al processo produttivo ed essere smaltiti nella filiera del riciclo tradizionale.

Interessanti, seppur meno vantaggiosi in termini di CO2, sono i prodotti biobased ibridi, materiali che, seppure non compostabili e non degradabili, hanno nella loro catena polimerica uno o più mattoncini provenienti dalla chimica “verde”, cosa che consente loro di avere a bordo un minore carico di CO2e.
Di questa famiglia fanno parte il bioPET e il bioPA, il bioPC.

Ovviamente la ricerca chimica non si ferma e siamo sicuri che presto il loro “contenuto verde” aumenterà significativamente.

 

Concludendo

Abbiamo compreso come il “collo di bottiglia” di tutta questa attività di riciclo risieda nella capacità di selezionare in maniera precisa i materiali di scarto in ingresso, un fattore legato sia al sistema che all’educazione della popolazione.

La maggiore disponibilità di materie prime da riciclo continuerà a provenire principalmente dal settore degli imballaggi e quindi, sarà dominata dai materiali utilizzati in quel segmento.

Le aziende specializzate nella produzione di macchinari di raccolta, selezione e riciclo, stanno creando impianti sempre più performanti e in grado di rendere pratico, sicuro ed economico, tutto il processo di recupero, salvaguardando sempre più anche il valore intrinseco di ogni materiale plastico trattato6.

A valle della selezione e del trattamento dei rifiuti, anche gli impianti di estrusione stanno evolvendo sempre più verso il “reactive process” (manipolazione della struttura chimica durante la fase di estrusione).

Con i materiali provenienti da scarti industriali, in particolare quelli più tecnici (es. ABS, PA, PC, PC/ABS), la qualità del riciclato può eguagliare quella dei materiali vergini e può essere mantenuta nel tempo (vedi prodotti IQ).
Le percentuali di materia prima riciclata nel mix IQ (qualità industriale) possono arrivare sino al >60% in funzione delle esigenze del semilavorato o del prodotto finito.   

I materiali derivanti da post consumo (quelli più reperibili sono PP, PE, PET, PS) hanno una storia di vita alle spalle che aumenta le variabili qualitative.
All’aumentare di tali variabili si riducono le possibilità di reimpiego nella stessa filiera originale.
Nel settore del packaging alimentare, o in applicazioni legate al contatto con alimenti, le possibilità di riutilizzarli nel mix polimerico rimangono piuttosto limitate.
In genere, nello stampaggio ad iniezione le percentuali accettabili vanno dal 10% al 15% a seconda delle applicazioni.

Invece, nel caso di manufatti estrusi, in presenza di tecnologia multistrato, è possibile arrivare a percentuali superiori.

I trasformatori di tutti i settori, stanno cercando nuove soluzioni per rendere gli imballi meno pesanti, meno complessi e quindi più facili da riciclare, un impegno che avrà bisogno delle migliori risorse creative (designer e ingegneri) per raggiungere l’obiettivo.

Anche i produttori (OEM) stanno cercando soluzioni facili, economiche ed efficaci, per favorire il riutilizzo dei prodotti finiti (es. ricarica).
Parallelamente, stanno sperimentando soluzioni per poter rientrare in possesso dei loro imballi plastici al fine di disporre di materiali qualitativamente certi da reinserire nella propria filiera produttiva.

Per un’economia circolare efficiente c’è ancora tanta strada da fare, ma è un percorso inevitabile che troverà sempre più sostegno tecnico e tecnologico da parte di tutto l’indotto e un supporto finanziario dalla Comunità Europea.

È evidente che anche le bioplastiche compostabili, al momento poco rilevanti in termini quantitativi rispetto ai cugini fossili (vedi pubblicazione precedente), aumentando progressivamente la loro presenza sul mercato, dovranno presto confrontarsi con questo modello ci circolarità.
Certamente porteranno in dote una ulteriore possibile soluzione per il loro smaltimento grazie alla loro compostabilità, ma non potranno esimersi dal confrontarsi anche con la circolarità.

 


Note:

  1. https://www.2milasrl.it/lca-comprendere-monitorare-fornitori-attivita-sostenibile/
  2. https://www.osservatorioveganok.com/emissioni-di-co2-in-etichetta-il-caso-oatly-e-la-responsabilita-dazienda/
  3. https://www.2milasrl.it/tecnologie-estrusione/
  4. https://www.2milasrl.it/vendita-compound/ I prodotti della famiglia IQ di 2Mila sono compound con un contenuto di riciclato industriale variabile in funzione delle necessità del pezzo e pattuito con il cliente.
  5. https://www.luigibandera.com/it/pet-food-film-recycled-flakes/
  6. https://www.sesotec.com/emea/en/lp/varisort-plus A titolo di esempio dell’evoluzione impiantistica a sostegno del riciclo, vedere la linea “Varisort” di Sesotec.

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