“GREEN DEAL”, PLASTICHE E TRANSIZIONE VERSO LA SOSTENIBILITÀ
Pubblicato il: 17/12/2020

Il contesto europeo
Il mondo, e in particolare l’Europa, è davanti ad una biforcazione epocale. Il “Green New Deal”1 lanciato dalla Comunità Europea tra il 2018 e il 2019 punta entro i prossimi 10 anni, grazie ad investimenti misti, a mobilizzare 1 trilione di Euro per portare l’Europa entro il 2050 alla completa eliminazione delle emissioni di gas serra generati dai sistemi produttivi industriali e civili. Un primo traguardo prevede la riduzione del 40% delle emissioni entro il 2030, rispetto al 1990.
La scelta è etica e tecnologica. Lo scopo ultimo, che forgerà le prossime generazioni, è quello di riparare con pazienza e dedizione ai molteplici danni creati dall’uomo al pianeta per ignoranza, incuria e ricerca di un profitto economico materiale. Profitto che finora è sempre stato in conflitto con l’ambiente che ospita anche la nostra specie.
Questo nuovo modello/paradigma che mette l’ambiente al centro è alla base dell’impegno (non solo economico) della CE sull’economia Circolare; un pilastro importantissimo di questo modello. Ovvero, la focalizzazione sul recupero, riuso e riciclo dei prodotti immessi sul mercato dopo il loro impiego e, non meno importante, con un focus anche sulla riduzione del fabbisogno di materie prime impiegate dall’industria.
Dai dati CE2 infatti, emerge che le industrie europee utilizzano nei loro prodotti solo il 12% di materie prime riciclate. C’è quindi molto spazio per l’implementazione di un recupero e riciclo virtuoso che ormai è anche divenuto doveroso.
Si potrebbe dire che finalmente, dopo più di 200 anni, non ci si preoccuperà più solo di produrre a testa bassa, bensì di immaginare tutto il ciclo di vita di ciò che si produce; con l’obiettivo ultimo di ridurre l’impatto ambientale (emissioni) di tutte le attività umane.
Questo vorrà dire prendersi cura di tutto ciò che dell’ambiente naturale va preservato: qualità dell’aria, qualità dell’acqua e qualità del suolo. Inoltre, e cosa non meno importante, migliorare la qualità della vita degli esseri umani3. Per ora pare che il problema dell’inquinamento elettromagnetico, che, ai fini della salute, non è meno importante di ciò che mangiamo, beviamo o respiriamo, non sia ancora molto considerato.
Quello che sta iniziando e che impatterà sempre più sulle nostre attività è un processo evolutivo che ci coinvolge tutti direttamente, sia come singoli cittadini che come imprese.
Tocca settori primari quali:
- la produzione e consumo di energia4,
- la filiera del cibo, nel senso più ampio del termine,
- l’industria delle costruzioni (civili e industriali),
- i trasporti (su strada, aria e acqua, che partecipano con il 25% alle emissioni complessive),
- i prodotti per la connettività (computer, telefoni, reti telefoniche, ecc…),
- i beni di consumo semidurevoli, durevoli e voluttuari (auto, sport, benessere, cosmetica, ecc..).
Quando dovrei entrare in gioco?
Questa domanda, in particolare nel mondo delle materie plastiche, se la pongono in molti. Sia i produttori che i trasformatori, che i loro clienti finali.
È una domanda che può avere molteplici risposte, come molteplici sono i segmenti e sottosegmenti di mercato coinvolti.
Guardando agli impegni presi dalla CE sul tema ambientale e considerando gli investimenti sul piatto per i prossimi trent’anni, credo che la risposta sia una sola: SUBITO!
Dobbiamo tutti prendere atto al più presto che le politiche aziendali che includono gli obiettivi di sostenibilità e di riduzione di dipendenza dalle fonti fossili indicati dalla CE, sono premianti sia nel breve che nel medio termine. Ovviamente lo sono anche di più nel lungo termine, dato che investire ora significherà restare in gioco, oppure uscire dal gioco definitivamente.
C’è anche un fattore finanziario interessante da considerare nel breve e medio termine. Le buone pratiche implicite nel progetto, hanno il pregio di rendere appetibile l’azienda sia agli occhi del proprio mercato che a quelli degli investitori pubblici e privati che oggi, sempre di più, giudicano il valore delle società in cui investire anche in base al loro impegno sul fronte ambientale.
A tale proposito va segnalato che sono già centinaia le aziende (il 20% circa di quelle del settore imballaggi) che hanno sottoscritto il patto “New Plastic Economy Global Commitment”.5
Un impegno che punta all’eliminazione degli imballaggi plastici inutili, portando altresì quelli necessari a diventare sempre più efficienti, meno pesanti, riutilizzabili, riciclabili o riciclati, oppure compostabili. Ovvero tutto fuorché essere fonte di inquinamento per l’ambiente.
I più importanti gruppi industriali del settore del cibo e della cura della persona, come vedremo più avanti, hanno già dichiarato nei loro obiettivi aziendali di medio termine la volontà di utilizzare, nei loro imballi, dal 30% al 100% di plastiche riciclate.
Il “super sistema”, dal canto suo, si sta adeguando introducendo linee guida e normative per la qualificazione delle materie plastiche di scarto come: Rifiuto, Sottoprodotto o Materia Prima Secondaria (norma UNI 10667.1/…9), con l’intento di tracciare l’origine degli scarti e qualificarne l’identità (tipologia, qualità e rischi).
Questo implica che chiunque tratti i materiali plastici riciclati non possa più essere li per caso (se mai così fosse stato), bensì abbia competenze e strumenti idonei alla loro caratterizzazione e qualificazione che permettano di attestarne qualità e paternità.
Non tutti i riciclatori, o le aziende di trasformazione, hanno presidi tecnici interni adeguati; per questo possono avvalersi di laboratori esterni6 specializzati nelle analisi chimico fisiche e nella stesura di schede tecniche del materiale di interesse.
In questo modo, grazie a queste risorse esterne, potranno adeguare la propria produzione alle norme e direttive di sicurezza, per lo scopo finale del determinato materiale.
Come abbiamo detto prima, le grandi aziende del settore del largo consumo hanno dichiarato e perseguono l’obiettivo di introdurre nella propria filiera produttiva quantità importanti di materiali riciclati.
L’Italia, che è la nazione con il maggior numero di aziende attive nel settore del riciclo e della compoundazione a livello europeo, ha oggi un altro fiore all’occhiello degno di nota.
Per sviluppare un coretto utilizzo e valorizzazione dei materiali riciclati è nato un organismo chiamato IPPR7 (Istituto Per la Promozione delle Plastiche da Riciclo).
Questo ente privato è proprietario dalla certificazione ambientale “Plastiche Seconda Vita” che si prefigge di promuovere, monitorare e sorvegliare l’impiego di plastiche da post consumo negli articoli di qualsiasi tipologia merceologica.
Le aziende iscritte al consorzio si impegnano a operare nella massima trasparenza, dichiarando e certificando l’origine, la quantità e qualità della materia prima riciclata utilizzata nei propri manufatti, potendo così utilizzare il marchio “seconda vita”.
L’ente è garante di quanto viene dichiarato e verifica per mezzo di ispezioni sul campo la congruità di quanto asserito da tutta la filiera produttiva; come accade per marchi di qualità come IMQ, VDE, UL, ecc… sui prodotti finiti. È la prima iniziativa di questo genere a livello europeo che si incastra perfettamente nell’economia circolare per un riciclo intelligente e virtuoso.
Riteniamo che questo modello troverà presto spazio anche nel resto d’Europa.
Le plastiche nel nuovo contesto
Dimensione del mercato
Le materie plastiche sono ancora giovani, innovative e, con l’avvento delle nuove direttive/strategie europee per l’ambiente, tornano nuovamente in evoluzione per fornire le riposte necessarie alle nuove sfide.
I nuovi obiettivi ambientali, non solo europei, permettono paradossalmente ai materiali polimerici di mostrare ancora una volta il loro valore, la loro flessibilità e la loro economicità sistemica.
Certamente molte cose stanno e devono cambiare nel modo di produrli, di lavorarli, applicarli e, soprattutto, eliminarli o recuperarli a fine impiego. Nulla può più essere lasciato al caso, o nelle mani di “volenterosi”, perché questo è ciò che ha portato alla loro comprensibile demonizzazione visti i danni causati all’ambiente.
La loro funzione per la nostra civiltà è ormai indispensabile.
Le stime europee indicano che entro il 2030 le quantità di polimeri prodotti ogni anno potranno raddoppiare rispetto a quanto prodotto sino ad oggi.
Ovvero, passare dalle attuali 360 milioni di tonnellate/anno8 a circa >720 milioni di tonnellate. Se il trend di crescita sarà confermato è intuibile che entro il 2040 / 2050 si raggiungerebbero più di 1 miliardo di tonnellate. Ed è altrettanto immaginabile che una tale mole di materie prime non potrebbe mai essere gestita con le logiche attuate sino ad oggi.
I danni creati dalla non gestione da parte di tutta la filiera, sono purtroppo sotto gli occhi di tutti. Il pianeta (noi inclusi) non potrebbe mai sopportare un tale impatto.
Continua…
Nella prossima pubblicazione: obiettivo zero emissioni! Biopolimeri e industrie – OK mettersi in gioco, ma come nel mio settore?
Note
- https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/fs_20_40
- https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/fs_19_6714
- https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/fs_19_6717
- https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/fs_19_6723 Il comparto energia è molto importante perché pesa per il 75% delle emissioni di gas serra. Va segnalato che la produzione di energia è ormai orientata decisamente verso le fonti rinnovabili, Eolico e solare in testa; si sta facendo rapidamente strada anche l’idrogeno generato da energia solare.
- https://www.ellenmacarthurfoundation.org/our-work/activities/new-plastics-economy
- www.superlab.it A titolo di esempio qui citiamo il laboratorio italiano Superlab Srl di Reggio Emilia specializzato in analisi e caratterizzazioni chimico fisiche di polimeri termoplastici, gomme e termoindurenti.
- https://www.ippr.it/chi-siamo-ippr
- https://www.plasticseurope.org/application/files/9715/7129/9584/FINAL_web_version_Plastics_the_facts2019_14102019.pdf
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